Si può sul serio pensare che la psicoanalisi sia rimasta indenne dal disastro del nazismo? Pulsione, autoconservazione, mistica dell’inconscio; tra una massa riunita intorno al proprio Führer e lo sprofondare dell’autonomia del Diritto, negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso gli psicoanalisti assistettero all’entrata in forze della “Natura”, delle sue potenze sotterranee e della sua “biologia” nel campo del linguaggio, in quello politico e in quello razziale. Gli psicoanalisti hanno lottato con tenacia, ma forse la trasformazione delle concezioni analitiche che molti di loro allora introdussero considerandola necessaria, li ha traditi: che cosa è avvenuto dell’enigma della trasformazione dell’odio individuale in psicosi di massa nel momento in cui il trattamento psicoanalitico della Shoah ha privilegiato l’ascolto empatico, facendo prevalere il trauma e la patologia delle vittime? Cos’è rimasto del paradosso del generarsi dell’anti-civilizzazione dalla stessa civilizzazione? Gli psicoanalisti hanno preso a pieno le misure del disorientamento clinico e teorico in itto dallo scatenarsi del nazismo?
Laurence Kahn è membro titolare e formatore della Association Psychanalytique de France, di cui è stata presidente dal 2008 al 2010. Oltre che di numerosi articoli, è autrice di Hermès passe ou les ambiguïtés de la communication (1978), Cures d’enfance (2004; tr. it.Cure di bambini, 2006), Faire parler le destin (2005; tr. it. Far parlare il destino, 2007), L’écoute de l’analyste (2012) e Le psychanalyste apathique et le patient postmoderne (2014; eng. trans. 2019). Ha fatto parte della redazione della Nouvelle Revue de Psychanalyse. Nel 2014 le è stato attribuito il premio “Maurice Bouvet” per l’insieme dei suoi scritti psicoanalitici; nel 2021 l’International Psychoanalytical Association ha premiato Laurence Kahn per il suo “Extraordinarily Meritorious Service to Psychoanalysis”.
Edizione italiana (Alpes, aprile 2023) a cura di Riccardo Galiani e Roberta Guarnieri