Autore recensione: Fiorella Petrì
Una vita veramente sorprendente quella di Ennio Morricone ricostruita con profonda ammirazione e eccezionale regia da Giuseppe Tornatore.
Il docufilm inizia nel farci vedere il Maestro, pur se in età molto avanzata, steso per terra, fare i suoi abituali esercizi di ginnastica nel completo silenzio, cadenzato solo dal tic tac di un orologio. Tic tac, suono reale, che come tanti altri, hanno caratterizzato le sue composizioni rendendole uniche, pensiamo, ad esempio, all’indimenticabile urlo del coyote in Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone del 1966.
Nel film di Tornatore la storia artistica e umana di Ennio Morricone continua nel farcelo vedere ragazzino costretto a seguire le orme paterne di suonatore di tromba, tradendo, così, il suo desiderio di studiare medicina. Comprendiamo che quella del conservatorio, inizialmente, fu una scelta forzata dettata soprattutto dalla necessità di aiutare economicamente la famiglia.
“Per me suonare la tromba era un’umiliazione” svelerà nell’intervista. Solo il dirottare verso lo studio di composizione, in contrapposizione timida e silente al padre, gli permetterà di avvicinare e sviluppare il suo amore per lo studio della musica, che ha arricchito e ha permesso di far emergere e consolidare il suo talento di eccezionale compositore creativo.
Nel suo raccontarsi colpisce la semplicità, l’umiltà, la modestia del genio, si prova tenerezza nel vederlo commuoversi ai ricordi. Così come mi è sembrato che spesso trasparisse quel vissuto di umiliazione infantile/adolescenziale sempre pronto a riemergere, ad esempio, quando, inizialmente, credeva di essere considerato – e forse si giudicava – un compositore di “serie B” perché si era allontanato dalla composizione accademica per dedicarsi soprattutto alla composizione di colonne sonore per il cinema, deludendo il suo celebre e carismatico maestro – forse altra figura paterna autorevole e critica – Goffredo Petrassi.
Ed ancora. Un vissuto di umiliazione lo si avverte nel suo volto quando doveva confrontarsi con il disatteso desiderio dei ripetuti mancati conferimenti all’Oscar, sempre sfiorati; pensiamo, per dirne uno, allo stupendo film Mission di Roland Joffè del 1986. Ma poi gli Oscar sono arrivati: il primo alla carriera ricevuto nel 2007 per le 500 colonne sonore fino ad allora create; e l’Oscar vinto, finalmente, nel 2016, a 87 anni, per la colonna sonora del film di Quentin Tarantino “The Hateful Eight”. In questa occasione sorprende come, con la solita aria umile e sentitamente commossa, Morricone dedicò il premio alla moglie, esprimendo tutto il suo affetto e la riconoscenza per essere stata da sempre il suo punto di riferimento nella vita e nel lavoro: la prima attenta ascoltatrice delle sue colonne sonore appena composte.
Il docufilm coinvolgente e calibrato di Tornatore è un susseguirsi di frammenti: di film, concerti, interviste, voci di celebri registi, attori, cantanti italiani ed internazionali da cui nasce un ritratto non solo di un artista geniale, ma anche di un uomo attento, intelligente, di poche parole, modesto, esclusivamente dedito alla sua professione perché costantemente immerso nella ricerca delle potenzialità espressive del linguaggio musicale e nell’utilizzo di ardite sperimentazioni sul suono.
Bernardo Bertolucci paragona Ennio Morricone ad un camaleonte, capace di adattarsi alle immagini dei film ed alla storia che raccontano.
La metafora del camaleonte, venne utilizzata da Freud : “…al pari di un camaleonte, il ricercatore non prevenuto dovrebbe cambiare colore via via che cambiano i colori del terreno su cui si muove” (Freud 1912 – 13, 113). Questo mi rimanda al “metodo” del geniale compositore che, letto il copione o visto il film, vediamo immerso con la mente nelle immagini e, contemporaneamente, nella creazione di una melodia fatta non solo di note ma anche di suoni, rumori, fischi e versi di animali, che avrebbero potuto rappresentare, accompagnare il racconto filmico. I film non vengono soltanto impreziositi dalle colonne sonore create da Ennio Morricone, ma vengono trasformati dall’ulteriore viva voce narrante
della melodia.
Il “metodo” adottato da Morricone mi sembra abbia una vaga analogia, con il lavoro dello psicoanalista: dove sensibilità, soggettività, fantasia, immaginazione, associatività, nel fluire del pensiero, rendono ogni incontro con la persona di cui ci si prende cura irripetibile, contribuendo alla comprensione e alla nascita di una nuova idea di sé e dell’altro.
Morto nel 2020 a 91 anni, pur lasciando un vuoto forse incolmabile nella creazione musicale contemporanea, il Maestro ci lascia delle composizioni, che rappresentano delle pietre miliari dei nostri tempi per le emozioni che ascoltandole riescono ad evocare.
23/2/2022