Figure del Perturbante a cura di L. Bruno, C. Rosso, O. Sartorelli,
Pendragon 2024 BO
Presentazione di S. Lombardi presso il C.N.P. 21/9/2024
C. Rosso e L. Russo discutono Il perturbante fra lutto e diniego
Stamane ho l’impegnativo ma appassionante compito di presentare, insieme ai nostri due graditi ospiti, nonché relatori sul “perturbante fra lutto e diniego”, questo libro nella sua interezza e varietà. Esso è l’esito della scelta fatta nel 2023 di sviluppare il tema del perturbante nel XVI°Colloquio italo-francese ed evidentemente non esaurito in quell’occasione: poiché altri contributi si sono aggiunti a quelli degli Autori che al Colloquio hanno partecipato come relatori e che pure sono presenti nel libro.
Il volume è stato opportunamente assimilato dai curatori ad una polifonia, diviso in 5 sezioni, ciascuna delle quali raccoglie 3-4 articoli. Ben 5 contributi sono di psicoanalisti del nostro Centro: V. De Micco, R. Galiani, S. Lombardi, S.Thanopulos, G. Zontini. Una delle 5 sezioni è introdotta da M.L. Califano. L’immagine della polifonia mi appare concordante con il bisogno che Freud ha avuto di affermare che la sensibilità verso questa qualità del sentire è sollecitata in maniera diversissima da individuo a individuo (1919, p.82).
La ricerca psicoanalitica sul perturbante è di grande attualità. E, a mio avviso, resa necessaria dall’esperienza emotiva ed intellettuale di smarrimento ed inquietudine che, nella nostra cultura, proviene non solo dalla clinica ma dalla necessità di sostenere l’esistenziale quotidiano. Troppo spesso, però, in forma aggettivale, il perturbante qualifica, ed in maniera non impropria, stati d’animo sconvolgenti, disperdendo lo sforzo fatto da Freud di sostantivare, Das Unheimliche, un ambito specifico dell’angoscioso. Non è, infatti, per noi psicoanalisti, primario lo scopo di cogliere un’effetto sconvolgente quanto piuttosto individuare l’agente che lo produce. Con la sua ricerca Freud introduce, in maniera latente, la questione dell’estraneità, spingendo la scoperta dell’Io non padrone in casa propria in un territorio particolare. Di fatto, gli Autori degli scritti di questa raccolta esplorano, certo!, il legame fra il turbamento e l’estraneità, ma soprattutto quest’ultima: è interna o esterna al soggetto? E l’estraneo può essere ricercato nel rimosso individuale? o connotato come straniero, come nuovo, come proveniente dall’altro/Altro? Esiste, insomma, una frontiera o barriera, magari non fra luoghi ma fra tempi psichici? E quanto è permeabile? Questa ambiguità è, a mio avviso, sollecitata già dall’invito di Freud a farne un’esplorazione estetica: attraverso il sentimento e la soggettività, ma pur sempre di una sfera autonoma del sapere e del sentire. O per il fatto di alludere in alcuni punti al suo interesse per il paranormale.
L’ articolo del 1919 si dispiega dopo un’analisi semantica del termine che Freud voleva arrivare ad usare. Egli conclude: … la cosa più interessante per noi è che la parolina heimlich, tra le molteplici sfumature del suo significato, ne mostra anche una in cui coincide col suo contrario, unheimlich (p.86). Sicché heimlich lascia intendere che caratteristica del familiare è una certa dose di oscuro mistero che è bene cercare di non accostare e svelare. Pena l’estraniamento a se stessi. Freud ha ravvisato, infine, nell’uso che ne fa Schelling, tra i tanti riportati nel dizionario della lingua tedesca di Daniel Sanders, il significato più affine alla sua sensibilità.
Per mantenere il filo di questa scelta, rimando alla lettura dei tre articoli della sezione del libro intitolata alle “Lingue del perturbante”.
Nel suo saggio Riccardo Galiani , a partire dalle opzioni di cui Freud disponeva nella lingua tedesca e dal confronto con le possibilità traduttive, anche perifrastiche, in altre lingue, mostra come egli abbia voluto contestualizzare temporalmente l’incontro con il nuovo o l’estraneo, non intendendo questo nella sua fisicità ( der Auslander o der Fremde piuttosto che heimlich): causa della percezione di estraneità è, piuttosto, la regressione dell’Io a tempi in cui non erano ancora nettamente tracciati i confini tra l’Io e il mondo esterno e gli altri (p. 97). L’Io che si va strutturando grazie ad una stratificazione di identificazioni compie anche un lavoro autobiografico ( Riccardo cita “il romanzo dell’io” di Magris). Questa suggestione letteraria, io la trasferisco qui come la possibilità, che l’Io si dà, di una fantastoria: una storia alternativa, un’ucronia, in cui sono iscritte le possibilità identificatorie intraviste e non perseguite. Esse persistono (dice Riccardo) senza che se ne sia fatta veramente esperienza, ma sufficienti ad indurre alla fascinazione di apertura di scenari paralleli.
Roberta Guarnieri ritiene che il perturbante, espresso da un significante così complesso e denso di opposti, sembra essere presente nella lingua, parlata da Freud per appartenenza geografica, come sua personale lingua-madre. Ella raccoglie la pensosa conclusione circa la consultazione del dizionario: non gli è stata di molto aiuto, perché la lingua che noi parliamo è, in realtà, un’altra lingua (1919, p.93). Che a fatica ma con tenacia, crea la sua strada lessicale. Noi parliamo una lingua-madre che è la lingua dell’inconscio. Forse, quindi, la scelta del termine Heimlich trova collocazione nel legame con il sostantivo Heimat, il cui significato è la casa o la patria che si sentono proprie con sentimento intimo e nostalgico. Qual’è per Freud il lato oscuro di questo vissuto? La risposta del biografo-psicoanalista potrebbe essere trovata in un senso di non totale appartenenza ad una lingua e ad una cultura in cui con determinazione da bambino si era radicato pur continuando a far parte di una famiglia migrata da un altrove linguistico e culturale. Il tedesco era diventato lingua-madre per quella generazione di ebrei europei i cui genitori e nonni ancora potevano parlare lo yiddish…: questa fu anche la condizione della famiglia di Freud ( R. Guarnieri p.152).
Pertiene a questa ricostruzione storica l’opinione di Virginia De Micco sul versante dell’intrapsichico. Ella pensa che l’infans incontri nel corpo sonoro materno la prima lingua straniera. Questo incontro, che ha una capacità organizzativa primaria della psiche immatura, istituisce anche un territorio, intrapsichico ma estraneo al soggetto, in cui finisce tutto ciò che la mente materna o la parola materna non riesce ad introdurre in maniera tollerabile. E’ interessante anche la distinzione che l’autrice, studiosa di antropologia, fa tra l’altro ( ciò che abbiamo potuto collocare fuori) e lo straniero (ciò che abbiamo dovuto cancellare dentro): ecco perché l’altro ci sta di fronte mentre lo straniero ci starà sempre accanto, inquietante ma irriconoscibile…
Il volume contiene, infatti, anche una sezione dedicata all’effetto perturbante dell’alterità. Quest’ultima viene declinata sia sul versante dell’intrapsichico che dell’intersoggettivo, inteso come registro in cui s’inscrivono le proposte tecnologiche e mediatiche del nostro contesto socio-culturale. Il teatro è quello del corpo. Tre autrici (Zontini, Lombardi, Fattori) descrivono l’impatto con l’alterità in situazioni che procurano perdita dei confini fra il soggetto e l’altro, come smarrimento oceanico (Zontini) evocativo di esperienze infantili dell’Io similari. Zontini ha il suo riferimento teorico in Lacan, circa l’origine aliena , eterologa, dell’Io. L’altro materno introduce il bambino alle infinite possibilità di simbolizzazione ed immaginazione della realtà. Ma quanto non riesce ad essere simbolizzato, persiste come pura materialità, un primitivo aggregato cellulare, un manichino, resistente ad ogni stimolo o forzatura proveniente dal contesto. L’esito di questa forzatura può essere il ritiro: Gemma ricorda personaggi di Pirandello. Oppure lo scaricamento nella creazione di uno o più sosia: a me ha fatto venire in mente, a proposito di personaggi letterari, quelli di Paul Auster in Trilogia di New York.
Lombardi e Fattori, entrambe relatrici di esperienze di PMA, mostrano come possa essere sconvolgente l’impossibilità di essere confortati dalla certezza dei fantasmi originari di scena primaria. E come questo sconvolgimento sia difficile da negoziare anche nel controtransfert dell’analista (Lombardi).
A questo punto delle nostre riflessioni, non sorprende che gli Autori (non posso nominarli tutti!) che hanno dato al libro un contributo prevalentemente clinico abbiano trattato problematiche extranevrotiche, espressione di sofferenze identitarie e sessuali che non possono essere contenute nel complesso di evirazione infantile ma eccedono nel perinatale.
Un contributo a parte è quello di Cosimo Schinaia, il quale attribuisce all’ipereccitamento sensoriale procurato dalle immagini di catastrofi ambientali trasmesse dai media “l’indebolimento delle superfici di confine di natura sensoriale costituentesi grazie a connessioni pre-simboliche fra le impressioni sensoriali stesse” (riferimento al pensiero di Ogden, 1992, p.53). La tenuta dei confini psichici è, invece, determinante per fronteggiare il disorientamento causato da un’emergenza perturbante.
Due sezioni del libro sono rispettivamente dedicate al disorientamento ed ai lutti difficili della madre o del materno.
Vi è, infine, l’ultima sezione, dedicata al rapporto fra il perturbante e il doppio. Per la nostra mattinata essa è particolarmente rappresentativa. E, inaspettatamente, analizza il perturbante-perturbato in modo da non immaginarlo necessariamente come un evento sismico per l’Io ma come occasione per mettere al lavoro le sue energie (e le chances che gli toccano in sorte) attingendo ad un doppio. Nell’introduzione alla sezione, Olimpia Sartorelli sottolinea che il tema del doppio è connaturato alla relazione dell’Io con l’altro, fuori e dentro di sé: il doppio appartiene alla natura intrinseca dell’Io nelle sue possibili forme evolutive.
Vi sono inclusi 4 lavori accomunati dall’importanza del lutto e dall’utilità del diniego (così è nello scritto di chiusura con cui Chiara Rosso li commenta) per la costituzione di uno spazio transizionale del soggetto (L. Russo) dove l’esperienza del perturbante possa istituire un crocevia di destini, o di crescita vitale o di cupa involuzione.
L. Russo e, a suo seguito, B. Chervet concordano sull’esistenza di un doppio strutturante e di un doppio destrutturante. Per Lucio il lavoro che il bambino riesce a fare, come lutto per le perdite che l’oggetto gli infligge, è decisivo affinché prevalgano nella costituzione dell’Io i legami erotici e la rimozione, insidiati in alcuni casi da una presenza troppo pervasiva dei fantasmi dell’altro. Per Chervet, il fallimento non sta in un amalgama mal riuscito: il pericolo, per ciascun individuo, proviene da un doppio destrutturante costituzionalmente interno al soggetto, colonizzato dai fantasmi non elaborati dei lutti genitoriali, e, quindi, non da lui elaborabili. Gli è possibile, però, attivarsi per cercare salvezza nella formazione del doppio strutturante. Chervet illustra il suo pensiero usando Pulcinella (non dimentichiamo che il concepimento italo-francese di questo libro fu a Napoli nel 2023!), maschera della commedia dell’arte ma soprattutto mitologhema di una cultura pagano-cristiana della città ove è figura di tramite uomo-donna, stupido-furbo, città-campagna, demone-santo, saggio-sciocco (Wikipedia).
Anche Thanopulos si serve di due figure iconiche, l’androgino ed il poeta tragico per mostrare come l’esito del lavoro del lutto possa portare o ad una collusione con il perturbante mortifero o consentire al soggetto un’esistenza: tragica ma, quindi, passionale e creativa.
A mò di conclusione della ricerca psicoanalitica che questo libro documenta, credo di poter affermare che certe configurazioni del perturbante, considerato inizialmente (anche da Freud) come fenomeno border della psicopatologia, ne abbiano rivelato aspetti potenzialmente costruttivi. Parafrasando Benno Rosenberg nel suo studio sul masochismo, possa essere mortifero ma anche un guardiano dell’Io.
P.S. Un esempio di doppio digitale perturbante:
Masahiro Mori, ingegnere giapponese studioso di robotica e sensibile esploratore delle reazioni emotive a fronte di entità aliene e tecnologiche, nel 1970, con il suo libro The uncanny valley (La valle misteriosa), ha descritto l’effetto inquietante di automi troppo verisimiglianti agli umani. Questi vengono, invece, amabilmente tollerati se riconosciuti nella loro natura a causa di una forma approssimativa.
Silvana Lombardi