di Darwin Mervoglino
Le opere di Pierluigi Di Michele, in arte Piergiò, colpiscono emotivamente. Le immagini (è così che le vedo, in immagini e non dal vivo, il che inevitabilmente limita e de-limita il campo delle mie impressioni sensoriali) mi arrivano con forza addosso con un senso di immediatezza quasi viscerale.
The Challenge, Mostra Artisti per il Sol Levante, Chie Art Gallery, Milano 2019
Mi interrogo, credo sia perché i lavori di Piergiò riflettono con potenza una categoria universale dell’umano che, da psicoanalista, definirei come “dimensione del primitivo”.
Il primitivo ha a che fare con l’origine arcaica dell’umano, con l’esigenza originaria dell’uomo di tramutare il gesto in rappresentazione, per comunicare qualcosa all’altro. Queste opere attuali, realizzate con materiali attuali, mi ricordano le pitture rupestri, le prime incisioni dei primi uomini, la prime macchie di colore con forme umane o totemiche. L’apparentamento fra queste opere artistiche, così contemporanee, e quelle espressioni artistiche così ancestrali, mi sembra del tutto evidente ed istituisce una continuità tra passato e presente, fra l’uomo primitivo e il cosiddetto uomo della post-modernità. Immediatezza?
Il Pesce Talismano, Biennale Internazionale d’Arte Contemporanea, Mantova Arte Expo 2019
Penso dunque di poter rispondere all’interrogativo che ponevo a me stesso all’inizio: perché le immagini del lavoro di Di Michele mi “arrivano nel corpo” con tanta forza e direi che è perché esse risuonano e si incontrano col primitivo che è in me, con la dimensione primitiva che è nella mia natura e nella natura umana tutta, con il mio “infantile rimosso” che rintraccia in quei segni i suoi stessi primi segni.
Se l’arte ha, fra le sue molte ragioni d’essere, quella di esprimere in forme uniche e particolari una qualche forma universale, per me le opere di Piergiò rientrano di diritto fra quei lavori artistici in stretto contatto con l’universale dimensione primitiva dell’esistenza umana.
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