A cura di Maddalena Ligozzi 5 giugno 2021
Questo nodo risuona dentro come un incontro bello, sognante e vero, dove si immagina e si rilegge a più voci un testo di Mimmo Chianese, Il vivente e il sacro, che parla di noi, viventi tra i viventi, connessi, non solo da remoto, in un luogo sacro, che ci accomuna e ci differenzia, tracciando confini in uno spazio tempo infinito. Silvana Lombardi introduce al testo: Un appassionato appello ad abbracciare da un vertice psicoanalitico un umanesimo che integri il legame di continuità dell’uomo con il non umano, la terra, la materia, la biosfera e dall’altro il primato dell’immagine come forma primigenia originaria.
Paolo Cotrufo apprezza la prospettiva osservativa di Mimmo Chianese, che mette in risalto le qualità immaginifiche e creative dell’analista. Il suo non è un libro sulla psicoanalisi, è un libro di psicoanalisi, dove K (knowledge) può darsi solo con L (love), in una proposta forte di ricongiungimento con le origini e con il senso dell’uomo nella natura. La lettura di questo testo è un viaggio che unisce, in luoghi lontani, in tempi passati. Un viaggio che lega la fisica, la religione, la psicoanalisi, la storia, l’arte, il mito.
Gemma Trapanese, immaginando di parlare a un futuro lettore, racconta il suo dialogo con il testo di Mimmo Chianese: un “corpo a corpo”, che chiede al lettore di scendere in campo. Sogno, verità, bellezza sono nodi contigui e prossimi che vengono al pettine: la bellezza e l’esperienza estetica aiutano a cogliere la verità e la verità ci riporta alla bellezza, ma anche all’angoscia, al dolore, alla separazione e, quindi, al vivente. Se leggere è sempre un’esperienza intima, leggere Il vivente e il sacro è un’esperienza destinata a restare in parte segreta. Come segreto forse è il sogno più intimo dell’autore, che Gemma Trapanese descrive con le parole di Agamben: “Ho spesso sognato di trovare il libro assoluto e perfetto, quello che abbiamo più o meno consapevolmente cercato per tutta la vita in ogni luogo, in ogni libreria, in ogni biblioteca, (…) così continuiamo a cercare senza sosta, fino a quando comprendiamo che quel libro non esiste da nessuna parte e l’unico modo per trovarlo è scriverlo noi stessi”. Di Mimmo Chianese conosciamo la passione per le immagini, le esperienze e i gusti che hanno nutrito la sua scrittura, una forma di rêverie analitica che vitalizza le idee, un sogno ad occhi aperti, un’esperienza di vita alla frontiera del sogno. Sguardo e ascolto si intrecciano di continuo nel testo. Trasportati in un presente immaginario che ci fa ignorare a tratti il senso e il discorso, il futuro lettore si sentirà garbatamente invitato a collaborare con chi scrive, sentirà di avere a disposizione uno spazio di gioco, un’area intermedia, in cui sentire il desiderio di svelare, di creare, di svelare creando, di creare mentre svela.
Mimmo Chianese, ricordando, come Bion, che lo psicoanalista è insieme un poeta, uno scienziato e un uomo di fede, definisce il suo testo una specie approdo soprattutto al sacro. Affronta la primaria verità scientifica della dimensione estetica nello sviluppo dell’uomo. Un senso estetico, che si basa sui primari gesti tra adulto e infante, manipolazioni, esagerazioni, ripetizioni. Da questo scambio intenso, sin dai tempi dell’Homo Abilis, nasce e si alimenta una dimensione estetica, il grembo fertile del simbolo. Il simbolo nasce da questa dimensione estetica, sfondo di presenza, filogeneticamente trasmesso. Il simbolo, quindi, non sorge solo dalla perdita dell’oggetto. Da qui, poi, per chi fa arte, interverrà la poiesis, il fare: prendere una pietra e inciderla. I simboli rifluiscono nei sensi che ci fanno vedere e toccare. Dai sensi, attraverso i processi di simbolizzazione e rappresentazione, si arriva di nuovo ai sensi.
In un’epoca attraversata da tempeste Gemma Trapanese apprezza proprio la fede di Mimmo Chianese, che ben lontana da dogmi e dottrine, ci viene addirittura illustrata, riusciamo a vedere i luoghi in cui lui ha riposto la sua fede, proprio in un sogno, che si scopre sognato da più sognatori. Sarà proprio il sogno, a mo’ di ritornello, a sostenere una lettura labirintica e a rallentarne la fine.
L’incipit del sogno è “All’inizio era il tempo in cui gli uomini erano animali e gli animali uomini, in una caverna, mani sulla roccia e piccole Veneri di pietra…”. Il sogno senza sognatore, viene sognato da menti eminenti, Freud, Jung, Picasso, Bion, Winnicott, Lacan e infine diviene sogno di gruppo, di fisici, premi Nobel, che hanno aperto a un inedito universo di bellezza nuove teorie, che hanno autorizzato a dichiarare in pieno Congresso a Bruxelles (1927) che “è più importante per un’equazione essere bella, anziché in accordo con il dato sperimentale” (P. Dirac). Al cospetto di questi illustri signori, misteriosamente contemporanei, perché condividono uno stesso fantasma, Mimmo Chianese interroga il sogno, lo scioglie con la psicoanalisi, producendo libere associazioni per ogni segmento del sogno. Solo attraverso il filo associativo si potranno catturare i mostri del labirintico sogno, puntando ad una riorganizzazione che realizzi una nuova
strutturazione aperta ai legami erotici e alla vita. Sarà il metodo adottato a consentire la libertà di costruire un percorso espositivo labirintico, del quale ben stretto nella mano dell’autore vediamo il capo di un filo che, come quello di Arianna, gli consentirà di tornare sui passi nei quali noi stessi lettori siamo entrati. Un metodo decostruttivo costruttivo segue a ritroso il percorso della costruzione di un sogno, di un sintomo, di una fantasia, proprio utilizzando le stesse regole di trasformazione: slegare ciò che è stato compattato dalla condensazione, seguire le linee di sutura degli aggregati, ridurre in elementi, interpretare, ricostruire. Anche Paolo Cotrufo individua nel sogno la traccia centrale del testo. Non sembra un sogno senza sognatori, in realtà sembra un sogno dell’uomo, un punto di arrivo dell’umanità. Si scrive, solo alla fine del testo, che il sogno è di Mimmo Chianese, un sogno parigino con due residui diurni: l’emozione e la preoccupazione circa la ricezione del suo testo “Imaginons” tra i colleghi della società francese, col culto della parola, e il desiderio di scrivere di un’analisi terminata, il caso dell’Uomo della farfalla.
Chanese rivela che la scrittura del testo, molto sofferta, durata cinque anni, è precipitata, quando è arrivato quel sogno e con esso un ordine tra passato, presente, futuro. Il sognatore resta comunque un mistero.
Mimmo Chianese osserva che il modo di pensare diacronico, per il quale sin da bambini riteniamo che un fenomeno abbia una causa, è caratteristico del pensiero occidentale. In oriente il pensiero è invece tendenzialmente sincronico, privilegia l’orizzontalità alla verticalità, la complessità degli equilibri che si concausano gli uni con gli altri: dagli astri che regolano le stagioni alle piante che formano i boschi che producono e sostengono la vita. Per Paolo Cotrufo questo è un punto di arrivo dell’uomo, in particolare di Mimmo Chianese, un percorso di espansione della coscienza.
Intanto il sogno si chiude così: “Gli occhi si posano su una tela, su un ordito di linee e colori pieni di fascino e mistero. Gli occhi poi guardano in alto nel cielo una luce maestosa e terribile, gli occhi infine si abbassano e lo sguardo si posa su mondi invisibili. Appare una scritta: Contraria sunt complementa”.
Cotrufo pensa che l’illuminazione del Buddah consisteva nell’accettare la complessa armonia della realtà, la precarietà e la transitorietà delle cose, nel cogliere il tutto del quale facciamo parte, senza schierarci su fronti opposti. Contraria sunt complementa, appunto. Questo senso di partecipazione al tutto richiama il freudiano sentimento oceanico.
Nel Disagio della civiltà (1929) viene citato il sentimento oceanico in risposta a Romain Rolland che obiettava a Freud che, nella sua critica alle religioni, egli non tenesse conto della presenza, negli esseri umani, di un sentimento di partecipazione al tutto. Freud non riesce a rintracciare in sè tale sentimento, pensa sia una caratteristica dello stato di innamoramento, il sentirsi in unione con il mondo.
Nel Paleolitico, con l’arte rupestre, l’uomo raffigura una natura temibile. Progressivamente si affranca, la natura si piega al suo volere. L’uomo ha alzato uno steccato per delimitare il suo campo, sottraendolo non solo ad altri uomini ma, progressivamente, a tutte le altre specie, alla natura stessa. Per Paolo Cotrufo quindi l’uomo crea discontinuità e disarmonia in questo equilibrio, molto probabilmente, proprio perché porta con sé uno psichismo, il principio del piacere, sconosciuto alla natura prima dell’avvento dell’uomo.
Chianese riprende il riferimento a Freud: egli pensava che il mondo della mistica e della musica non gli appartenesse, perchè suscitava emozioni e si ribellava al suo spirito analitico. Esprimeva, però, un senso di vicinanza profonda a Romain Rolland. Vedeva in lui un alter ego, attraverso cui pensare diversamente a una dimensione in parte negata e in parte evitata. Per errore inviò a Rolland uno scritto sul disturbo di memoria sull’Acropoli, che si riferiva al momento di derealizzazione che Freud ebbe sull’Acropoli nel 1904. Forse in quell’occasione Freud si avvicinò a una dimensione estatica ed estetica, toccò il senso dell’infinito e della profonda bellezza e ne fu profondamente turbato.
Bion parla di infinito e finito, non di conscio e inconscio. Noi proveniamo da un infinito che finitizziamo, pensa Chianese. Si dice affascinato dalla pitture raffinatissime dell’Homo Sapiens ritrovate nelle grotte di Lescaux. Quei primitivi disegnavano il mondo animale che stavano lasciando, il loro passato. Come pensano anche Jung e Bion, il sacro è una struttura originaria della psiche, non è solo uno stadio della storia evolutiva della psiche.
Il sacro nasce dalla creazione di una zona recinto, sia essa una grotta, un cerchio fatto di sassi, un tempio, uno spazio circoscritto, che divide un dentro da un fuori. La proposta più forte del libro è che dallo spazio recintato del sacro si passa allo spazio recintato interno all’animo, psiche.
Chianese, a differenza di Lacan e Cotrufo, pensa che lo psichico sia vivente e abbia a che fare con altri viventi: una linea di pensiero epistemologica, poetica, filosofica. Lacan affermava che l’organismo vivente è eroso
dall’azione del linguaggio che frammenta l’unità del vivente, umanizzandolo. Questa dicotomia che si è instaurata tra natura e umano ha generato catastrofi.
Chianese, rileggendo Simone Weil, pensa che in ogni essere umano ci sia il sacro. La verità e la bellezza sono sacre. Ciò che è sacro nella scienza è la verità. Ciò che è sacro nell’arte è la bellezza. Tra analista e analizzando intercorre una coproduzione del vivente, pertanto sacro è il lavoro dell’analista, ma anche il paziente. Come dice Pontalis, voler bene ai propri pazienti è una condizione necessaria, perché in loro torni il gusto del vivere. Bello è nutrire una curiosità per le qualità che noi riconosciamo alla vita e sentire un profondo desiderio di conoscerle. L’atto della conoscenza può essere un atto di violenza, fin dall’inizio del mondo è stato così, ma rimane un atto fondamentale, se unito alla dimensione dell’amore.
A proposito del sacro, Gemma Trapanese riprende dal testo i Misteri Eleusini, che per circa 1000 anni si celebravano attraverso il rituale pellegrinaggio da Eleusi – profumata di incensi, dove le leggi, non scritte, nascevano dal Pathos – ad Atene, la Polis delle leggi scritte. Un pellegrinaggio di trenta chilomentri: un rituale per rievocare la tragica ricerca che il mito affida ad una madre disperata, Demetra, che dal mondo dei morti sale in incognita sulla terra per cercare la figlia Kore, pupilla, riflesso, rapita alla vita e al ciclo delle stagioni. Attraverso il ricordo di Eleusi, Chianese suggerisce che antiche forme di pensiero erano precorritrici della nostra pratica analitica. Quando da Eleusi si recavano ad Atene, i Greci cercavano di connettere un luogo di pathos, passioni, pulsioni, senza leggi, alle leggi della Polis. I Greci ci invitano a tenere connessi questi mondi, seppur separati, mediante un tragitto che noi facciamo continuamente nella stanza di analisi, separandoci momentaneamente dal mondo esterno e dai gudizi morali, cercando di operare tra passato e presente, ma anche tra gli antenati, i morti e l’attualità. In questo passato Chianese ha trovato gli antecedenti storici, filosofici, umani, sacrali dell’operare analitico. Per Bion lo psichico è esteso, al punto che nemmeno i piani astronomici possono rappresentare questa grandezza. In Eraclito troviamo parole simili. Quindi noi pensiamo, ma siamo pensati da pensieri che ci fondano come pensatori.
Per Gemma Trapanese le immagini e le loro sopravvivenza ci riportano di nuovo al mito e alla sua permanenza, pur nelle sue trasformazioni, alle rappresentazioni patetiche che ricordano la sofferenza del vivente, che non sempre riesce a trovarsi e a riconoscersi. ll passato che scorre nel presente non è solo un antecedente, l’archeologico non è un prima del tempo, ma un fuori tempo. Di fronte alla prospettiva del futuro, poco concettualizzato in psicoanalisi, Chianese, citando Freud (1907), d’accordo con Trapanese, pensa che solo il poeta che è in noi riesce a catturare l’ombra del futuro proiettato in avanti. Le fantasie non sono rigide e immutabili, mutano nel corso della vita e ondeggiano tra passato, presente e futuro, come infilate al filo del desiderio che le attraversa.
Per Chianese le costruzioni in analisi non sono tanto importanti per quel che scoprono, ma per quel che promuovono. L’inconscio è vivo, capace di sviluppo, di collaborazione, si lascia condizionare dalle vicende dell’esistenza. Non è solo sede del rimosso, ma creatore di immagini e e simboli.
Il labirintico testo si confermerà costruzione a cielo aperto, fatto apposta perché ci si rappresenti come affacciati dall’alto verso l’interno, proprio come quelle figure sospese in alto, dello straordinario affresco del Mantegna “L’oculo della stanza degli sposi” a Mantova, suggerisce Gemma Trapanese: un gioco tra esterno e interno, tra luce e aria, tra finito e infinito, una crescita futura a piani sovrapposti.
Come nella Roma antica le Vestali si curavano di tenere prennemente vivo quel fuoco sacro, così cogliamo nel testo quello stesso impegno e bisogno a mantenere vive verità, che suscitano riverenza e fascino, ma anche terrore, visto che la vertigine dell’orrore somiglia tanto a quella della bellezza. Trapanese ricorda lo Chignon della misteriosa Madeleine del film Vertigo di Hitckok.
Partendo dall’idea freudiana, nel Saggio su Leonardo (1910), che siamo uno dei tanti possibili esperimenti della natura, la domanda che Chianese propone infine è “perché non sei stato te stesso?”. Egli ricorda come nella storia della psicoanalisi si voglia ritrovare una ovvia continuità tra Freud e i suoi allievi o gli altri psicoanalisti. Ma non è forse più interessante vedere quando Bion diventa Bion, quando Winnicott diventa Winnicott? Ovvero quando la singolarità si esprime.
Paolo Cotrufo, pur esaltando la genialità di un testo che esprime il modo della psicoanalisi di guardare al mondo, non è d’accordo sull’idea che siamo tutti singoli esperiementi della natura. L’uomo interviene sul corpo nel tentativo di trasformarlo, come nel Paleolitico segnava la grotta. L’intervento sulla natura, sul proprio corpo, trasformandolo, dimagrendolo, ingrassandolo, palestrandolo, tatuandolo, è un tentativo di evitare l’illuminazione del Buddah, che porterebbe a un’accettazione della natura delle cose. Cotrufo ne
deduce una doppia posizione dell’uomo: una più vicina al conscio, che ama e protegge la natura, un’altra che vuole dominare e controllare la natura, esemplificata nelle rappresentazioni della natura morta, il vaso coi fiori, nella speranza di poter un giorno dominare il nostro invecchiamento e la nostra morte. L’individuo è quindi un esperimento contro natura, conclude Cotrufo.
Rispondendo a lui, Chianese cita Freud: “ogni uomo, ognuno di noi corrisponde a uno degli innumerevoli esperimenti nei quali queste ragioni della natura urgono verso l’esperienza”. Urgere verso l’esperienza è una rappresentazione specifica della psicoanalisi, che cerca di trasformare in esperienze le ragioni profonde, uniche e irripetibili di quel singolo uomo, non solo rispettandone la singolarità, ma promuovendone la realizzazione del compimento di quella singolarità.
Darwin Mervoglino suggerisce che forse la visione dell’essere umano descritta da Cotrufo e quella proposta da Chianese, lungi dall’essere in conflitto, si sposano con il paradosso della natura umana: la tensione tra creare legami e distruggere.
Chianese pensa che le posizioni restano distinte, ma collegate da un ponte: come Atene ed Eleusi, ma anche Napoli e Roma, le sue due città. Tenere le due visioni insieme come due facce della stessa medaglia è un po’ come pensare a Freud e Rolland. Freud lo ammira, come suo opposto, agogna verso di lui, al punto da riconoscere che noi siamo attraversati dall’infinito. L’opera di Rolland lo completa: contraria sunt complementa ancora una volta.
Il fascino e la malinconia, come pure il senso della bellezza, che proviamo nel guardare al mondo deriva dall’opera di distruttività e nascita che osserviamo in natura, come nella vicenda umana.
E’ difficile congedarci da un incontro così intenso, se non ritornando al testo Il vivente e il sacro con profonda gratitudine: un lascito, un’eredità, una donazione, un testo che crea legami e, quindi, fa bene, un libro denso di futuro, via dell’immortalità. In fondo ogni compimento è un nuovo inizio.